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Che cosa si intende per "Libertà sindacale" ?

La libertà sindacale è la facoltà o diritto di costituire associazioni sindacali, con la possibilità per il cittadino di potervi aderire oppure di uscirne senza alcuna limitazione. La fonte normativa più importante in materia di libertà sindacale, dopo la Costituzione (art. 39), è la l. n. 300/1970 (cosiddetto Statuto dei lavoratori). Questa, recependo i principi fissati dalla Costituzione, non ha regolamentato la libertà sindacale, ma l’ha garantita e resa più incisiva all’interno delle unità produttive. Gli art. 14-18 dello Statuto sono dedicati alla libertà sindacale a livello individuale. Mediante tali disposizioni si riconosce al singolo la piena possibilità di attivarsi sindacalmente, mentre è fatto divieto ai datori di lavoro di intervenire nella vicenda sindacale dei lavoratori, creando dei sindacati ‘di comodo’ (art. 17). L’art. 14 garantisce a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale. È fatto altresì divieto di trattamenti economici collettivi discriminatori. Altro principio cardine del sistema di libertà  sindacali è il principio di non discriminazione per ragioni politiche, religiose, sindacali, di razza, di lingua e di sesso. In qualsiasi provvedimento aziendale, quindi, il lavoratore non dovrà subire pregiudizio in ragione delle situazioni indicate. Gli art. 19-21 garantiscono la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali su iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, sia nell’ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, sia nelle associazioni sindacali non affiliate alle predette confederazioni che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nella unità produttiva. Nell’ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento. L’art. 20 prevede che i lavoratori possano riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, sia al di fuori che durante l’orario di lavoro, nei limiti di 10 ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Le riunioni sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell’unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale o del lavoro e secondo l’ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro. Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale. Ulteriori modalità per l’esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali. All’art. 21 è fatto obbligo al datore di lavoro di consentire nell’ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell’orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all’attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata. Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali. L’art. 28 dello Statuto prevede, inoltre, una particolare forma di tutela della libertà sindacale che va sotto il nome di «repressione della condotta antisindacale» e che è stata estesa anche nel settore del pubblico impiego. Per la realizzazione di tali condotte occorre che l’attività datoriale limiti, o impedisca, l’esercizio della libertà, dell’attività sindacale o del diritto di sciopero. In questo caso, il giudice adito dovrà istruire e provvedere nel termine (ordinatorio) di due giorni, dopo aver sentito le parti e assunto «sommarie informazioni». Laddove ritenga la condotta antisindacale, il giudice deve, con decreto immediatamente esecutivo, ordinarne la cessazione e disporre circa la rimozione degli effetti già verificatisi. L’inosservanza di tale decreto, da parte datoriale, comporta responsabilità penale (art. 650 c.p).

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